Torino, 24 marzo 2025
Il Relatore ha affrontato l’argomento da più angolazioni, sempre tuttavia focalizzate sull’Europa, e che possiamo organicamente e “sequenzialmente” riassumere partendo, tuttavia, da una notazione, che potremmo definire “conclusiva”, della discussione finale: l’Europa ha potuto lungamente beneficiare della protezione della NATO (con costi diretti quindi ridotti), dell’acquisto del materiale energetico della Russia (a relativo buon mercato), e della espansione commerciale verso la Cina (di fatto per un lungo periodo “terra vergine di conquista”) questo lungo periodo, foriero peraltro di benessere, è stato possibile dapprima per una sorta di “condominio” fra i blocchi della potenze nucleari (USA e Unione Sovietica) che, pur con tensioni latenti e talora emergenti, ha assicurato decenni di stabilità; poi, dopo il crollo del comunismo, dalla creazione, ovvero dalla “centralizzazione” di strumenti di controllo (governance) sovrannazionali (OMS, FAO, WTO, ecc.) – a proposito dei quali (NdR) non è tuttavia possibile negare, sotto le apparenze unilaterali, operasse il predominio nord-americano (visibile anche nell’esercizio del potere di veto nell’ONU), – più frequente che da parte di altre Potenze. Questo meccanismo si è “bloccato” per l’evidente –accresciuto – unilateralismo statunitense (si veda adesempio l’uscita degli USA dagli accordi di Parigi dal clima), che non a caso si è verificato con la crisi, forse più percepita che reale, della cosiddetta “globalizzazione”, che, pur avendo contribuito alla crescita del benessere collettivo, ha tuttavia colpito, negativamente, più classi sociali ( quelle soprattutto produttive) dei paesi cosiddetti “avanzati” dando luogo al riemergere di isolazionismo, “sovranismo” e nazionalismi.
In questo contesto l’Europa è venuta a trovarsi tra Stati Uniti, Russia (questa connotata dalla atavica paura dall’”accerchiamento da Ovest”, nella memoria delle guerre Russo/Svedesi, Russo/Polacche, ed ancor prima delle aggressioni dell’Ordine Teutonico), Cina – ormai potenza globale (memore delle umiliazioni subite dagli occidentali, come si può rammentare nella “famosa” “guerra dell’oppio” e ansiosa di rivalsa), – India ed altri compartecipi attori nel palcoscenico mondiale.
L’Europa non può rassegnarsi ad essere comparsa “marginalizzata” (“piccolo non è bello” fra i giganti) e, per evitarlo, non può che maggiormente cercare la sua integrazione – malgrado le differenze di abitudini culturali, che vanno viste peraltro come una ricchezza nel solco comune di una tradizione plurisecolare, e malgrado l’assenza di un “collante” linguistico -, ma nella ormai consolidata della cooperazione transnazionale delle Università, ed in quello della pur embrionale, ma comunque più che iniziale, cooperazione militare in alcuni settori organizzativi e logistici.
L’integrazione (“rectius”: la cooperazione nell’ambito della difesa) fu dapprima ostacolata dai rapporti di allora (1952) fra i “vincitori” (la Francia) ed i vinti (Germania e Italia soprattutto), poi dalle difficoltà dell’ampliamento ad Est senza urtare, almeno più che tanto, la sensibilità della Russia, ma essa è viepiù divenuta urgente, nella prospettiva della deterrenza generalizzata, al momento offerta dalla Francia (ed anche dal Regno Unito, riavvicinatosi alla U.E. malgrado la brexit) nella presenza di vecchi e nuovi “players”, anche se tali non potrebbero essere definiti i cosiddetti BRICS, che tuttavia dichiarano una diffusa volontà di affrancarsi dalla supremazia, fin qui esistente, del mondo euro/americano.
E’ certo che le nuove generazioni potrebbero sentire l’appartenenza alla comune cittadinanza europea, grazie anche ai progetti “tipo Erasmus”, più delle pregresse, ma la strada dovrebbe essere quella tracciata da Mario Draghi, superando le diffidenze che per molto tempo hanno fatto sentire la gestione europea (per più motivi storici e sociali ”bicefala”, fra Commissione e Consiglio Europeo) come limitatrice ed estranea: ciò perché le tensioni post belliche non allora dimenticate, indussero i padri della U.E. a preferire un approccio economico lento e graduale ad uno propriamente politico, che sarebbe stato sentito a quel tempo come un’imposizione fra “nemici”, allora divenuti appena “ex tali”. Prendiamo questa relazione come un auspicio ed un augurio.
Valeriano Ferrari

